Non è
indispensabile averne uno. Se però proprio si vuole un guru, dopo avere
scartato chiunque si atteggi come tale (un vero guru è scelto da noi, non si
propone mai alla nostra venerazione né la incoraggia) consiglio di rivolgersi
al mondo animale. Lì si va sul sicuro. A differenza di noi umani, ogni animale
è un essere compiuto che racchiude in sé la propria perfezione. Ben lo sapevano
gli Egizi che di divinità animali hanno riempito il loro olimpo.

E bene lo
sanno anche gli indiani nostri contemporanei che adorano Ganesh, il dio
elefante. Quando all’ingresso di un tempio Indù, dopo che avevo lasciato cadere
una rupia nel cesto delle offerte, un’enorme elefantessa per ringraziarmi mi
toccò con la punta della proboscide sulla fronte, nel profondo ho rabbrividito.
Quel bacio in fronte – potente e gentile al di là del pensabile, quel bacio numinoso
doveva essere il bacio di un’antica divinità che, per quanto remota, non aveva
perso del tutto il suo potere incantatorio. Almeno su di me.
Il divino
nell’animale corrisponde, nel mio sentire, a un difetto di coscienza. Che gli
animali siano intelligenti e talvolta intelligentissimi lo sappiamo; che al contrario di noi siano inconsapevoli del loro essere individui pare assodato. Ne segue che a separarci dal mondo
animale è anzitutto l'ineffabile appendice mentale chiamata autocoscienza.
Differenza non da poco. L’autocoscienza è la responsabile
prima del nostro saperci mortali: in sua assenza gli animali non sanno di dover morire.
Nel loro mondo crudelmente dominato dalla morte, la Natura, vivono innocenti come
esseri immortali, come dèi, ignari del loro destino finché la falce non li coglie.
Beatamente
inconsapevole, l’animale vive solo al presente: che potente insegnamento per
noi… Non c’è guru che prima o poi non ci raccomandi proprio questo; che resista
alla tentazione di svelare a noi, solo a noi, come fluttuare a bagnomaria dentro un infinito presente (con esiti generalmente opinabili).
Ignaro di qualsiasi passato che non sia già ossificato istinto, non gravato da
un solo istante di futuro, l’animale sa sempre esattamente cosa fare. E
semplicemente lo fa.
Dalla
notte dei tempi la mamma umana osserva stupita come la mamma felina sa badare ai suoi
cuccioli: con che sicurezza li nutre, li svezza e al momento giusto li
scaraventa nel mondo. Dal canto suo, il maschio umano non può fare a meno di
ammirare le qualità virili del pastore tedesco, la forza del toro, la bellezza
e l’eleganza del cavallo. E non c’è nessun bisogno di rifarsi ad animali
particolarmente rari o esotici: preziosi insegnamenti ci vengono dalla
farfalla, dal topo, dal falco, dal coniglio, dal ragno… C'è tanta letteratura a
nostra disposizione al proposito. Tutti gli animali, se liberi nel proprio
ambiente e possibilmente senza noi nei paraggi, padroneggiano perfettamente la
loro esistenza guidati saldamente dall’istinto, senza gli impicci della
coscienza, la madre dell'Io e del Super Io, la madre di tutti i nostri conflitti, dei
nostri deliri di onnipotenza, di tutte le illusioni metafisiche, di tutti gli
esorcismi contro l'inevitabile unhappy end… Che sia una disgrazia più
che un vantaggio evolutivo?
Come
liberarci dagli odiosi fardelli esistenziali lo chiediamo insistentemente ai
nostri poveri guru, che si tratti di autorità ecclesiastiche, filosofiche,
artistiche o anche solo di un duraturo bisnonno. Ma perché non chiederlo agli
animali? Oltretutto questi nostri meravigliosi compagni di viaggio non ci
rispondono con asfissianti predicozzi o verbose litanie, ma solo con l’esempio.
Che cosa chiedere di più?