martedì 29 dicembre 2015

I morti sono tutti uguali?

Dopo gli attentati del 13 novembre a Parigi taluni hanno dichiarato “Io non sono Parigi”, un po’ come chi, prima di loro, aveva dichiarato “Io non sono Charlie”. Pareva loro ingiusto piangere i morti di Parigi perché pochi giorni prima altrettante vittime innocenti, soltanto meno occidentali, erano state macellate in Libano (per menzionare uno dei tanti eccidi della Terza Guerra Mondiale Diffusa) senza che questo sollevasse tanta commozione collettiva né troppo clamore mediatico. O si piangono tutti i morti o nessuno, volevano significare i recalcitranti al lutto, perché “i morti sono tutti uguali”. Oh bella! E da quando?    

Greve in Chianti (FI) - Cimitero di Guerra.    

I morti sarebbero tutti uguali perché tutti morti? Anche i vivi allora hanno in comune il fatto di essere tutti vivi, forse che per questo sono anche uguali? Non si direbbe. Il probabile significato dell’asserzione, se interpreto correttamente, voleva essere che “tutti i morti meritano uguale considerazione, uguale rispetto”, il che mi trova d’accordo: di fronte alla morte, al cospetto dell’universale livella, ogni distinzione – francese o cinese, ebreo o mussulmano, ricco o povero – viene naturalmente a cadere. Ma questo forse significa che i morti sono tutti uguali? No, non lo sono. A fare la differenza, una differenza essenziale, è quanto è a noi prossimo chi muore. Il caso ha voluto che pochi giorni dopo la strage di Parigi perdessi una cara amica. Il dolore che ho provato quando l’ho saputo e la tristezza profonda che mi ha poi invaso hanno rapidamente uguagliato e superato il dolore e la tristezza che ho provato per le vittime di Parigi. Sono un mostro? No, sono umano…    

Perché mai per me la morte di un’amica dovrebbe essere la stessa cosa che la morte di uno sconosciuto o, anche, di 130 sconosciuti? Non lo è difatti. Quanto più qualcuno ci è vicino, quanto più è simile a noi, quanto più la sua vita è simile alla nostra, tanto più sviluppiamo empatia nei suoi confronti. Questo dovrebbe creare qualche imbarazzo? Che un occidentale sia maggiormente colpito da una folle strage di occidentali computa in Occidente che da analoga strage compiuta altrove contro altre genti è perfettamente naturale, entrano in gioco ovvi quanto inevitabili processi di identificazione. Non è né bello né brutto, né giusto né sbagliato: semplicemente funzioniamo così: noi umani siamo animali empatici, e non per caso. L’empatia, ovvero la capacita di sentire dentro di noi ciò che capita all’altro e di proiettare verso gli altri e le cose quello che sentiamo dentro di noi, è stata fondamentale per lo sviluppo delle nostre società, delle differenti culture, fondamentale per fare di noi quello che siamo. E l’empatia, non per colpa degli occidentali, è direttamente proporzionale alla vicinanza/somiglianza tra noi e l’altro da noi.

Perché però, aldilà della loro banalità, certe dichiarazioni di sconfinante compassione tipo questa, di apertura verso i più disagiati, verso gli oppressi dall’Occidente colonizzatore e capitalistico mi irritano tanto? In fondo si sente di ben peggio... Ho preso un po’ di tempo per rifletterci e ora mi rispondo. Queste dichiarazioni di apparente apertura mentale mi irritano perché non sono altro che pose culturali non corrispondenti a niente di autentico, di veramente sentito. Insomma, puzzano parecchio di ideologico. E il guaio di tutte le ideologie, da cui discende la mia avversione per l’intero bouquet, è l’intento di trascendere l’umano per puntare a più nobili e alti ideali. E quanto in basso possiamo cadere quando ideologicamente spronati lo ha dimostrato efficacemente il XX Secolo appena trascorso, che non smette di ammonire inascoltato le anime belle smaniose di Assoluto: più si è imbevuti d’ideologia, più si perde in umanità.

Non so perché l’intellighenzia più politicamente corretta e invaghita di relativismo culturale provi il bisogno di aggrapparsi a banalità come “i morti sono tutti uguali” per esprimere la sua critica (sacrosanta) all’Occidente, non devo essere abbastanza intellighente per questo. Perché negare il naturale, umanissimo istinto a piangere i propri morti in nome di un indifferenziato e inumano dolore per tutti i morti di qualsiasi guerra e continente? Piangere tutti i morti equivale a non piangere nessuno.
E ne sono sicuro: a nessun morto farebbe piacere essere gettato nella fossa comune delle astrattezze ideologiche.



Agli sparuti lettori di questo mio blog dico buon anno e ringrazio per la cortese attenzione che mi hanno dedicato. Avrei preferito trattare di cose più liete, più lievi, ma il più delle volte una cronaca efferata mi ha tirato per la manica e mi ha fatto scrivere quel che ho scritto decidendo per me; in molti momenti mi ha fatto passare del tutto la voglia di scrivere, in altri mi ha fatto sentire un vecchio barbogio brontolone a causa delle mie stesse opinioni… Che il 2016 regali a me e a tutti il privilegio della leggerezza, questo il mio augurio.    




martedì 10 novembre 2015

Homo occidentalis

Qualche sera fa ho visto un foglietto ripiegato con cura in quattro, per terra, vicino al portone di casa. Incuriosito l’ho raccolto e dentro ci ho trovato, scritti a mano, pochi versi: quattro esasillabi (come nei Fratelli d’Italia) che mi hanno sorpreso non poco: nell’attesa che il Capitalismo evolva in direzione del Bene Comune e della Giustizia, la nostra condizione di infelici privilegiati non avrebbe potuto essere descritta meglio, in modo più esatto e conciso, tanto che m’è sembrato opportuno, se non inevitabile, intitolare la folgorante quartina Homo occidentalis

Eccola di seguito fedelmente trascritta:

In scarpe adidas
In bagno badedas
In vino veritas
In culo ananas

Analizziamo con l’attenzione che meritano questi versi così semplici, così profondi, così veri. I primi si possono considerare descrittivi, mentre sono una citazione il terzo e una lancinante metafora il quarto. Nei due versi iniziali l’odierno Occidente – BRANDLAND – è evocato dall’anonimo Poeta attraverso due marchi assai popolari. Noi, suoi abitatori, vi figuriamo soltanto in veste di consumatori perché, sembra suggerire il Poeta, altro non siamo… Del resto Il dubbio che sia proprio così trafigge i più sensibili tra noi almeno tre volte al giorno, insieme con la consapevolezza che se ancora valiamo qualcosa è solo per la nostra capacità di comprare, non per altro, unita alla tragicomica constatazione che se mai dovessimo smettere di comprare l’Occidente crollerebbe… Crack!

Nel primo verso è questione di scarpe, nel secondo di bagnoschiuma, in rappresentanza di due miti caratteristici del nostro oggi. Perché una buona scarpa significa innanzitutto comfort e un buon bagnoschiuma cura del corpo, e sia alle comodità sia all’apparenza non rinuncia l’Uomo occidentale, ormai sufficientemente smaliziato da non pretendere più la felicità. Qui il Poeta mostra di conoscerci bene.


Un familiare proverbio latino però, in terza posizione, ci rammenta che l’ebbrezza rivela le cose nascoste, che il vino svela la Verità, della quale faremmo volentieri a meno perché spesso crudele, ma che il Poeta, crudelmente, svela nel quarto verso. Con sintesi mirabile di pensiero e immagine come solo nella grande Poesia si realizza, il quarto verso ci fa sentire quanto può essere spinoso e duro e difficile vivere nel mondo dei privilegiati quando il fragile meccanismo della pace quotidiana, per qualche fatalità, s’inceppa. E quanto ci costa – in energie e psicofarmaci – mantenere ben oliata la giostra del benessere. Quale tragica fregatura ci attende appena svoltato l’angolo delle fortunate circostanze. Nell’ultimo verso, caduto il velo di Maya, un ananasso, niente di più avverso alla tenera mucosa rettale, simboleggia l’innaturale, dolorosa, insensata condizione del consumatore consumato dallo sforzo di comprare, comprare, comprare... perché la giostra continui a girare, girare, girare…



Ps: Di sicuro tra duecent’anni i nostri discendenti pensando a noi scrolleranno la testa increduli: “Davvero sarebbe crollato tutto se solo avessero smesso in massa di comprare mutande?”… Come invidio i fan del Libero Mercato, come invidio le loro sicurezze, la loro pacifica accettazione delle Sue Leggi – perfette ai loro occhi, superiori a qualsiasi valutazione critica, divinamente ineluttabili… Di sicuro oggi il Libero Mercato spadroneggia: il centro-shopping di tutte le capitali europee, così come di tutto l’Occidente sparso sul pianeta-che-non-ce-la-fa-più, è saldamente occupato in ogni storico metro quadro da Banche e Griffe (non è un vocabolo terrorizzante?) e a tanti laureati in economia questo sembra il massimo… “Davvero sarebbe crollato tutto se solo avessero smesso in massa di comprare mutande?”… Masse di schiavi devono consumare compulsivamente quanto da esse stesse faticosamente prodotto per sopravvivere… Ecco: il mio problema è che a me già adesso sembra una roba da matti. Adesso!