A scanso di equivoci, io
non sono né particolarmente felice né predisposto per natura a esserlo, solo
che in questi giorni mi trovo in un posto bellissimo della bella Italia (viva
la patria!) che mi ha fatto pensare nientemeno che alla felicità. A ingenerare
le mie riflessioni dev’essere stato un pensiero rudimentale del tipo: “Come si
fa a non essere felici in un posto così?” o altra banalità del genere, ed ecco
più o meno cosa ha cominciato a frullarmi per la testa dal pensiero rudimentale
in poi.
Innanzitutto pensare che da condizioni favorevoli debba discendere la felicità è sicuramente
sciocco. Basta guardarsi intorno: chi non conosce o sa di persone a bagnomaria
in ogni tipo di privilegio, che hanno ricchezza, bellezza, salute in abbondanza
e nonostante questo non solo non sono felici ma si disperano e alla fine si buttano
via. Sembra assurdo eppure ce ne sono… E non vale nemmeno la pena citare chi non
gode di nessun privilegio ma, sprofondato nella merda, alla fine, in quanto perfettamente
infelice, si butta via: caso straordinariamente comune e di nessun interesse
speculativo.
Invece, e su questo credo
si possa concordare, non sono così rari gli individui che pur avendo buonissimi
motivi per essere infelici – per esempio una rognosa povertà o una salute disastrosa
– ci stupiscono perché infelici non sono affatto (e magari indispongono perché
si permettono addirittura di essere più felici di noi). La nostra meraviglia e
il disappunto sarebbero giustificati se ci fossero sentieri da percorrere, per
quanto malagevoli e appena tracciati, per chi, munito di buona volontà, di
acume o anche solo di fortuna, intendesse incamminarsi verso la felicità. Ecco,
io credo che proprio pensare alla felicità come a una meta, un luogo ameno, un
fine, sia la causa prima di molte illusioni, molte tragedie e tanta infelicità.
Son convinto, e lo
dichiaro, che sarebbe molto più sensato e salutare pensare che la felicità non
esista, che un luogo ameno chiamato felicità non stia da nessuna parte. Proprio
perché non ci sono condizioni preliminari che la garantiscano o anche solo
indichino il cammino, meglio escluderne l’esistenza. Può esserci una torta cui
non corrisponda nessuna ricetta, per la quale nessun ingrediente è certo? A questo punto si
può obiettare che però persone felici qua e là esistono: è vero, questo nessuno
lo vuole negare. Però è un po’ come con i miracolati, chi non ne ha incontrato
qualcuno? Il fatto che innegabilmente qualche miracolato esista però non
ci fa né credere né troppo sperare nei miracoli…
Pensa e ripensa, mugina
e rimugina, sono arrivato alla conclusione che la felicità vada intesa come
sintomo, che sia la conseguenza di qualcosa a monte, qualcosa che può realizzarsi
solo a patto che si realizzi prima qualcos’altro. Domanda: e sarebbe il sintomo
di quale disturbo? Risposta: della vita. E aggiungo: non si dovrebbe mai
desiderare di essere felici ma solo di vivere, nel bene e nel male vivere. Perché
la sensazione che proviamo quando viviamo con pienezza – e non solo cose belle –
credo sia proprio la felicità o, se non altro, il suo principio attivo.
Forse anche vivere
appieno la vita non porta con certezza a essere felici, è probabile, ma per
quanto non sufficiente questa mi sembra l’unica premessa necessaria, l’unico
ingrediente certo della misteriosa ricetta.
Occhio
dunque ai venditori di felicità, di qualsiasi tipo, vi stanno vendendo il
niente a caro prezzo. Perché poi il posto bellissimo dove sto abbia suscitato in
me simili riflessioni rimane un mistero che accetto con grazia. E se addirittura
questi miei pensieri dovessero rivelarsi per qualcuno di qualche utilità… sì,
ne sarei felice.
The Beatles - Happiness Is A Warm Gun