sabato 25 luglio 2015

Attenti alla felicità

A scanso di equivoci, io non sono né particolarmente felice né predisposto per natura a esserlo, solo che in questi giorni mi trovo in un posto bellissimo della bella Italia (viva la patria!) che mi ha fatto pensare nientemeno che alla felicità. A ingenerare le mie riflessioni dev’essere stato un pensiero rudimentale del tipo: “Come si fa a non essere felici in un posto così?” o altra banalità del genere, ed ecco più o meno cosa ha cominciato a frullarmi per la testa dal pensiero rudimentale in poi.

Innanzitutto pensare che da condizioni favorevoli debba discendere la felicità è sicuramente sciocco. Basta guardarsi intorno: chi non conosce o sa di persone a bagnomaria in ogni tipo di privilegio, che hanno ricchezza, bellezza, salute in abbondanza e nonostante questo non solo non sono felici ma si disperano e alla fine si buttano via. Sembra assurdo eppure ce ne sono… E non vale nemmeno la pena citare chi non gode di nessun privilegio ma, sprofondato nella merda, alla fine, in quanto perfettamente infelice, si butta via: caso straordinariamente comune e di nessun interesse speculativo.

Invece, e su questo credo si possa concordare, non sono così rari gli individui che pur avendo buonissimi motivi per essere infelici – per esempio una rognosa povertà o una salute disastrosa – ci stupiscono perché infelici non sono affatto (e magari indispongono perché si permettono addirittura di essere più felici di noi). La nostra meraviglia e il disappunto sarebbero giustificati se ci fossero sentieri da percorrere, per quanto malagevoli e appena tracciati, per chi, munito di buona volontà, di acume o anche solo di fortuna, intendesse incamminarsi verso la felicità. Ecco, io credo che proprio pensare alla felicità come a una meta, un luogo ameno, un fine, sia la causa prima di molte illusioni, molte tragedie e tanta infelicità.

Son convinto, e lo dichiaro, che sarebbe molto più sensato e salutare pensare che la felicità non esista, che un luogo ameno chiamato felicità non stia da nessuna parte. Proprio perché non ci sono condizioni preliminari che la garantiscano o anche solo indichino il cammino, meglio escluderne l’esistenza. Può esserci una torta cui non corrisponda nessuna ricetta, per la quale nessun ingrediente è certo? A questo punto si può obiettare che però persone felici qua e là esistono: è vero, questo nessuno lo vuole negare. Però è un po’ come con i miracolati, chi non ne ha incontrato qualcuno? Il fatto che innegabilmente qualche miracolato esista però non ci fa né credere né troppo sperare nei miracoli…

Pensa e ripensa, mugina e rimugina, sono arrivato alla conclusione che la felicità vada intesa come sintomo, che sia la conseguenza di qualcosa a monte, qualcosa che può realizzarsi solo a patto che si realizzi prima qualcos’altro. Domanda: e sarebbe il sintomo di quale disturbo? Risposta: della vita. E aggiungo: non si dovrebbe mai desiderare di essere felici ma solo di vivere, nel bene e nel male vivere. Perché la sensazione che proviamo quando viviamo con pienezza – e non solo cose belle – credo sia proprio la felicità o, se non altro, il suo principio attivo.
Forse anche vivere appieno la vita non porta con certezza a essere felici, è probabile, ma per quanto non sufficiente questa mi sembra l’unica premessa necessaria, l’unico ingrediente certo della misteriosa ricetta.


Occhio dunque ai venditori di felicità, di qualsiasi tipo, vi stanno vendendo il niente a caro prezzo. Perché poi il posto bellissimo dove sto abbia suscitato in me simili riflessioni rimane un mistero che accetto con grazia. E se addirittura questi miei pensieri dovessero rivelarsi per qualcuno di qualche utilità… sì, ne sarei felice.    



The Beatles - Happiness Is A Warm Gun











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