martedì 29 settembre 2015

The Knick is back!




Tempo fa m’è capitato di leggere una “Storia delle discipline mediche”, interessante per più motivi ma che mi aveva colpito soprattutto per l’agghiacciante gap tra le varie pratiche mediche e l’anestesiologia, antiche le prime, piuttosto recente la seconda: l'etere comincia a essere impiegato con successo a metà dell'800. La chirurgia s’era rapidamente sviluppata potendosi giovare del gran numero di feriti che da sempre ha costellato i campi di battaglia. Una manna per l’apprendista cerusico che – Aaaagh! – tagliava e cuciva senza ricorrere ad alcun lenitivo del dolore. Prima si perdevano i sensi, meglio era…

A fine ottobre torna The Knick, alla sua seconda stagione. Chi avesse mancato la prima è invitato a mettersi in pari, è stata tra le serie più riuscite dello scorso anno. Prodotta dalla rete televisiva statunitense Cinemax (in Italia s’è vista su Sky Atlantic), tutti gli episodi sono stati diretti da Steven Soderbergh (premio oscar nel 2001 per Traffic) anche co-produttore.

Siamo a New York agli inizi del 900 dentro al Knikerbocker Hospital (Knick per gli amici), struttura ospedaliera che per sopravvivere deve attrarre più pazienti benestanti possibile: allora come oggi, negli States il concetto di sanità pubblica era disdegnato. A capo del reparto di chirurgia c’è John Thackery (ispirato al chirurgo statunitense William Stewart Halsted), medico talentoso e all’avanguardia nonché cocainomane perso. Si seguono puntata dopo puntata le sue gesta, sia in sala operatoria sia nella fumeria d’oppio prediletta, con un misto di fascinazione e orrore. Fascinazione perché Thackery è interpretato da Clive Owen che ne rende alla perfezione l’esplosivo talento e la follia autodistruttiva; orrore perché lo vediamo operare in condizioni ben lontane dai comfort della moderna chirurgia, condizioni tali che per un paziente, anche benestante, patire come un cane e alla fine rimetterci la pelle era facilissimo. La setticemia, sempre in agguato, era un semplice regalo di medici che non si disinfettavano le mani tra un intervento e l’altro (come insegna Celine nel suo Il dottor Semmelweis).

Erano anche anni di razzismo tosto. I neri sono curati di nascosto nello scantinato del Knick da un fratello nero che, sebbene specializzatosi in chirurgia a Parigi, è costretto in uno stato di perenne umiliazione; si arriverà a un autentico scontro razzale che dal Knikerbocker Hospital tracimerà per le strade di una plumbea New York, scene di lotta che fanno pensare alle gangs di Scorsese… Tra i personaggi femminili, tutti piuttosto notevoli, spicca una suora fieramente irlandese e abortista, che non si nega una pinta e si dà da fare per sottrarre quante più disgraziate può ai ferri (da calza) delle “praticone”. Gli attori sono bravi e ben serviti dalla sceneggiatura, la fotografia è illividita al punto giusto, lampi di musica elettronica provvedono a qualche brivido in più… Sono contento di tornare presto a seguire le vicende di John Thackery e del Knick, e so già che a ogni intervento chirurgico il mio pensiero pieno di riconoscenza correrà ai pionieri dell'anestesiologia.

Ho anche letto che i nostri bisnonni l’efficacia del gas esilarante (il protossido d’azoto, N2O) la testavano durante allegri festini in case private nelle più eleganti capitali europee, festini ai quali erano invitate parecchie signorine. Alla giusta dose l’anestetico non stordiva completamente ma abbassava alquanto i freni inibitori. Sì, non ci siamo mai fatti mancare niente…





domenica 13 settembre 2015

I siriani si sono presi il meglio

Siamo in piena “emergenza migranti” e lo siamo perché ora la faccenda riguarda l’Europa e non più solo l’Italia. Si sente inoltre ripetere da più parti che la Merkel, ovvero la Germania, si è pigliata il meglio in fatto di migranti, ovvero i siriani, i più laici e istruiti oltre che rifugiati di guerra a pieno titolo. Ma sarà proprio vero che sono il meglio? Saranno così facili da gestire e integrare? Mah, vedremo… Per intanto è sicuro che i siriani si sono presi il meglio, ovvero i tedeschi, ovvero un popolo serio. Non so voi, ma tutte le volte che sono stato in Germania è stato come passare dall’adolescenza all’età adulta…

Vediamo: che cosa trovano i migranti che ce la fanno a sbarcare da noi? Dapprima tanti italiani di buona volontà, tanta brava gente con il cuore in mano che li salva dalle acque, li ospita e cerca di fare per loro tutto quello che può e anche di più. Questo lo sappiamo e ci fa onore. Ma poi, passata la fase eroica, poi che cosa succede? Ahia… passata la fase eroica i migranti devono fare i conti con la nostra invalicabile Burocrazia, altro che il Mediterraneo… Si dovrebbe infatti provvedere celermente alla loro identificazione come concordato a livello comunitario, ma nei centri di prima accoglienza il migrante scopre che deve aspettare in media 14 mesi (14 mesi!) affinché l’operazione di riconoscimento sia espletata e lo status di rifugiato politico sia concesso o meno. Per fortuna i reclusi esasperati scoprono di lì a poco che possono svignarsela con il silenzio-assenso chi dovrebbe custodirli...

Ora, se comitive di migranti, nel frattempo diventati clandestini, scorrazzano liberamente su e giù per il Belpaese come lamentano i leghisti, non è perché amano vagare senza meta come Baudelaire per le vie di Parigi, ma perché noi non siamo stati in grado di mettere in pratica regole ufficialmente sottoscritte a Dublino (senza che, fino ad ora, di tutto questo all’Europa sia mai importato un fico secco). E se spossati migranti dormono in baracche di legno e cartone tirate su alla bell’e meglio dopo che han passato l’intera giornata raccogliendo per una miseria pomodori nel casertano o, a piacere, uva nell’astigiano, non è perché amano la vita del campeggiatore, no, ma perché a questo sono costretti da feroci caporali – italiani o loro compaesani integrati – per sopravvivere.

Non è esatto dire che “i migranti da noi fanno quello che vogliono”, sarebbe più giusto dire che “i migranti in Italia fanno quello che gli Italiani permettono loro di fare”: più giusto e più vero perché i migranti non sono certo nella posizione di chi può dettare le regole. Ultima ruota del carro, volenti o nolenti, devono adattarsi ai nostri usi e costumi. Dunque, quando tutto va bene, dagli italiani sono ignorati o tollerati, ma può capitare, eccome!, che siano anche variamente sfruttati… Stando alle cronache, non sono mica pochi i nostri connazionali che con impegno e fantasia han saputo trasformare l’assistenza in business. Il genio italico non dà scampo…

Non stupisca se mi trovo spesso d’accordo con quanto denuncia la Lega in materia d’immigrazione: la situazione fa parecchio schifo, non c’è che dire. Solo che la Lega se la prende con quelli sbagliati, con i più deboli, quelli che contano come il due di picche: e questa è una cosa ripugnante. Non se la prendono i leghisti, o non abbastanza, con chi per esempio è pagato per tutelare la legalità e se ne frega, o con chi dovrebbe concordare regole comunitarie eque e ragionevoli e non è in grado di farlo, o con i farabutti che costringono i migranti a condizioni di lavoro che neanche nei romanzi di Dickens… o con chi li stipa in massa dentro un monolocale facendosi pagare a caro prezzo e in nero… No! Si preferisce fare la voce grossa con il più debole, con il disgraziato di turno, con chi la situazione non la determina ma la subisce… con chi non vota.

I migranti, senza che lo desiderino, hanno purtroppo il brutto torto di sbatterci in faccia quelle che sono le nostre carenze organizzative, le nostre storture burocratiche, i nostri inaccettabili livelli di corruzione, la nostra assenza totale di controllo del territorio e la nostra assoluta incapacità di tutelarlo. Capisco il fastidio che possono procurare…

Li potremmo considerare un’occasione di riscatto, un propizio pretesto per migliorare la qualità della nostra convivenza, sarebbe un bene per noi e per loro. E invece no, sono diventati il perfetto capro espiatorio per tutte le nostre italianissime magagne, l’oggetto concupito di ogni gara allo scaricabarile, l’ideale pretesto per deprimenti guerre tra poveri. E si badi bene, non intendo qui santificare i migranti che di sicuro tutti santi non sono: chi delinque, qualunque sia l’etnia o lo status, che ne risponda penalmente (fingo qui, per brevità, che Giustizia soggiorni in Italia almeno qualche mese all’anno). Ma sta comunque a noi – noi maggioranza santa, poetante e navigatrice – sta a noi comunicare con chiarezza al nuovo arrivato quali sono i nostri valori e le nostre regole e imporre che si rispettino. Già, a proposito, quali sono?

Ai siriani va solo bene se finiscono in Germania. Son contento per loro.



Il 30 agosto scorso si è appreso della distruzione del tempio di Bel, eretto
 nel I secolo d.C. nell'antica città di Palmira, ora siriana e preda della furia jihadista.
La povera Palmira non può nemmeno migrare.




martedì 1 settembre 2015

Viva Marino!

Da quando c’è lui sono venute a galla criminali connivenze stagionate per decenni ora raggruppate sotto il nome di Mafia Capitale; è emerso un vergognoso sfruttamento dei disperati alternativo alla loro accoglienza (Buzzi: "immigrati rendono più del traffico di droga…"); una ramificata famiglia malavitosa ha fatto incautamente outing attraverso festose celebrazioni funebri… Sarà un caso, ma se basta la sua sola presenza per far emergere il romano marciume – evviva! che il sindaco Ignazio Marino sia il benvenuto…  

Dà inoltre da pensare il fatto che non piaccia a nessuno: non alle opposizioni, non al suo stesso partito. Fantastico! Un politico che non fa niente per piacere già mi piace. Di lui si dice mestamente che è onesto (dunque inquietante), e dev’essere vero se non si riesce proprio a farlo sloggiare. Nel giardino della politica un burocrate non ricattabile è un pericoloso infestante da cui non ci si libera facilmente. Non potendolo accantonare, ecco che il ministro dell’Interno Angelino Alfano gli affianca un prefetto dotato di super poteri e tre tutor che lo aiutino a fare le pulizie e a governare decentemente la Capitale, che, rogna tra le rogne, dovrà pure fronteggiare il Giubileo straordinario voluto da papa Francesco.

Un qualsiasi politico nostrano si sarebbe sentito offeso da simili provvedimenti, equiparabili a un esautoramento, a una pubblica sconfessione delle proprie capacità. Avrebbe arruffato le penne, agitato i bargigli. Un qualsiasi politico nostrano ma non l’ineffabile Marino, che s’è dichiarato felice – felice! – di poter contare su qualche fidato collaboratore per il governo di una città, Roma, da decenni in crisi d’astinenza da onesti. Marino ha ringraziato! Sublime... ho rischiato un mancamento… In questo sciagurato Paese dedito al culto dell’Uomo Forte Che Da Solo Sistema Le Cose (tralascio esempi passati e recenti) c’è qualcuno che non si considera né Uomo della Provvidenza né Salvatore della Patria ma ringrazia il prossimo, qualcuno che non fa dell’amministrazione della cosa pubblica una faccenda privata, che crede nel lavoro di gruppo…

Non bastasse, Marino ha osato l’impensabile: ha chiesto agli ambulanti di allontanare camion-bar e bancarelle dal Colosseo quando nessuno più, per antica consuetudine, riusciva a immaginarli disgiunti. Questo ha osato perché non teme di essere impopolare, a quanto pare non gli importa! E non ha interrotto populisticamente le vacanze, come gli è stato rimproverato da più parti, nemmeno mentre impazzava la polemica sul rutilante funerale sinti. Marino, a differenza di molti colleghi che fanno della loro “presenza” un vanto, sa che per noi, spettatori sgomenti, la “presenza” dei politici non fa altro che confermare la loro perfetta inutilità. Quando non impicciano.

Amici romani per bene, non si capisce come sia potuto atterrare quest’ufo in Campidoglio, ma ora che c’è tenetevelo stretto, sia per i suoi connaturati poteri di rabdomante della corruzione, sia per l’elegante disinteresse che esibisce nei confronti di presenzialismo e culto della personalità. Romani, dove lo trovate un altro così?



Piazza del Campidoglio

lunedì 24 agosto 2015

Nota dolente

Un signore ha ricevuto un funerale imponente a Roma e questo è stato motivo di imbarazzo e indignazione per molti miei connazionali. Pare che il signore "passato oltre" fosse un malavitoso, e l’ostentazione di potere dispiegata dal suo parentado durante la pomposa cerimonia funebre – pensate! da un elicottero piovevano petali di rosa… – a molti è parsa inaccettabile. A me, più del clamoroso funerale, hanno sinceramente sconcertato molti commenti al caso. Commentatori cari, funerale a parte, per il resto tutto bene?

Libero funerale in libero Stato, ça va sans dire. Ognuno può scegliere il funerale che sente più giusto per sé, minimal o neobarocco, le leggi lo consentono e fin che si paga di tasca propria nessuno può dire niente. Fatta eccezione – s’intende! – per il Vaticano, sola istituzione autorizzata a stabilire come allestire una funzione religiosa come Dio comanda. 
Ma motivo di scandalo non è stato tanto il funerale in sé, di gusto pare opinabile, quanto la figura del defunto, capo riverito di un’influente famiglia attiva da molti anni nella Capitale e nota per le molteplici attività malavitose. Tutti i commentatori, o quasi, han parlato della nota famiglia come si parlerebbe di un noto direttore d’orchestra sempre in giro per concerti. Sì, una famiglia nota... E a quanto pare, nonostante fosse perfettamente noto che cosa combinasse la nota famiglia questo non è mai parso, né ai commentatori né alle varie polizie, particolarmente degno di nota, né li ha troppo impensieriti. Questo, almeno, fino al funerale-festa-celebrazione di pochi giorni fa… Perché se il capo della nota famiglia malavitosa si fosse congedato da questa valle di lacrime alla chetichella, senza dar dell’occhio, all’insegna del bon ton, a quanto pare nessuno avrebbe avuto niente da ridire. Due righe in cronaca e via…

Tra gli altri, un esperto di "cose di mafia" ha dichiarato che questo funerale è stato un grave smacco per lo Stato, che il messaggio che la nota famiglia ha voluto lanciare – ovvero che una fetta del territorio della Capitale è cosa sua e ci fa gli affari che vuole – è arrivato dritto e chiaro a destinazione ed è stato particolarmente dannoso perché ha segnato un pericoloso arretramento nella lotta al malaffare. E questo dev’essere dolorosamente vero… Altrettanto dritto e chiaro, però, è arrivato il messaggio in risposta delle Istituzioni: “Famiglie malavitose tutte che operate sul territorio della Repubblica Italiana, passi che vi siate sostituite allo Stato nei territori di vostra competenza; passi che vi sostentiate alla grande trattando di rifiuti, droghe, appalti, prostituzione e tutto ciò che rientra nelle tradizionali attività malavitose; passi che siate riuscite a garantirvi la connivenza di molte autorità politiche e la disattenzione di chi sarebbe preposto, e pagato, per il controllo del territorio; passi tutto… ma che l’ultimo saluto a un vostro capo si traduca in una cerimonia funebre con carrozza e cavalli, con un ex carabiniere nella banda e un elicottero che sparge petali di rosa… No! questo no… questo uno Stato con un minimo di dignità non può consentirlo”.

La nota famiglia, tanto aspramente criticata, dichiara intanto alla stampa che tutti sapevano di questo funerale, tanto che sono stati sospesi gli arresti domiciliari ad alcuni parenti che altrimenti non avrebbero potuto partecipare alla cerimonia. Insomma, nessuno ha fatto niente di nascosto, tutto era noto. E anche questo dev’essere dolorosamente vero… Ma le notizie ormai incalzano. L’ultima che ho sentito: pare fosse noto che alcuni appartenenti alla nota famiglia, che è anche molto vasta e ramificata, abbiano ricevuto dal comune di Roma case popolari dove poter sbrigare le loro note attività con un tetto sopra la testa pagando un affitto irrisorio; perché, come noto, tutti abbiamo diritto a una casa…


Per ora l’unico punito, destinato forse a restare tale, è il pilota dell’elicottero preposto all’omaggio floreale: gli han ritirato la licenza, magari per sempre. Ricordate dunque, brave italiane e bravi italiani, ricordate: mai, mai e poi mai lanciare petali di rosa da un elicottero durante un funerale, per nessun motivo… è rigorosamente proibito!



Il Carro Funebre, stampa del 1853, 17x25 cm,  tratta dall'opera "Usi e costumi 
di Napoli e contorni descritti e dipinti".