Mi fa piacere che domani (come ogni prossimo 21
giugno) sia la “Giornata internazionale dello Yoga” indetta dall’Onu. È un
riconoscimento meritato per questa antica disciplina orientale che coinvolge e
appassiona così tanti occidentali, me compreso. Meritato perché
aiuta a vivere meglio. E per me vivere meglio, al di là della ricerca oggi
tanto diffusa e talvolta stucchevole di “benessere”, vuol dire innanzitutto acquisire
una maggiore consapevolezza di sé: prezioso regalo dello Yoga ai suoi
praticanti. Di sicuro una maggiore consapevolezza, sul piano personale e di
riflesso verso gli altri, può fare solo bene. Il breve testo che pubblico qui di seguito mi è
stato richiesto qualche tempo fa perché descrivessi, in modo sintetico, il
senso del mio percorso yogico. Faccio riferimento in particolare al Raja Yoga
perché questa è la scuola tradizionale alla quale mi sono formato.
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Il Raja Yoga, o Yoga
Regale, è un insegnamento dello Yoga classico che negli Yoga Sutra di Patanjali
(I-V sec. d.C.) ha il proprio testo di riferimento. Fondamentali nel Raja Yoga sono l’osservazione di
sé e la consapevolezza del respiro, un approccio che si potrebbe definire già
inizialmente “meditativo”, mirato al riequilibrio e all’integrazione di mente e
corpo. In questo senso la pratica di Raja Yoga ha un riflesso positivo sulle nostre
relazioni, specialmente nell’ambito del lavoro, dove, troppo spesso, le più
elementari esigenze del corpo sono sacrificate mentre è sollecitata a dismisura
l’attività mentale, quasi le due cose non fossero intimamente connesse.
Praticare Raja Yoga è un’esperienza
concreta perché si opera esclusivamente sul piano fisico – strumento di lavoro
è solo il corpo – al fine di entrare in contatto con parti più profonde e sottili, pertinenti alla sfera psichica, che, per loro natura, non sono direttamente accessibili. La
“meditazione” è un particolare stato psicofisico caratterizzato da un livello
di coscienza non ordinario che attraverso una pratica ben condotta possiamo
tutti, a varia intensità, sperimentare. Il benessere che se ne ricava è proprio
dovuto alla percezione di un corpo e una mente più uniti: Yoga in sanscrito
significa ‘unione’. Inoltre, cosa importante, praticare Raja Yoga invita a essere
attivi: si tratta infatti di un percorso di consapevolezza nel quale, sotto la
guida di un insegnante, il trattamento e la cura del nostro corpo sono affidati
a noi stessi.
La mia attività nel campo dello Yoga (che dura ormai
da vent’anni) si è sviluppata parallelamente alle mie esperienze lavorative, in
particolare in campo editoriale, e nel corso del tempo mi ha aiutato a lavorare
meglio, a convivere con una realtà urbana spesso disagevole, intessuta di
relazioni complesse, conflittuali. È stata soprattutto un’alternativa a
illusorie fughe verso improbabili paradisi spirituali. La via della
“meditazione” può e deve essere una via di “integrazione” che, pacificamente, attraversa il
contesto in cui viviamo.
Per me, infine, il Raja
Yoga è stato ed è essenzialmente un percorso di libertà. Solo da una migliore
conoscenza di noi stessi possono originare scelte consapevoli: tutto ciò che non conosciamo, purtroppo, siamo destinati a subirlo… ed è questa consapevolezza che cerco di trasmettere
ai miei allievi.
Cocteau Twins, Otterley (da Treasure, 1984). Brano meditativo? Bah... forse. Bello? Sì.
Sono contenta di avere incontrato e di condividere con te il Raja Yoga, più si pratica e più la meditazione rivela...
RispondiEliminaNe parla anche la BBC:
RispondiEliminahttp://www.bbc.com/news/world-asia-india-33212949
A.
peccato! mi è sfumato lo scoop...
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